Spiaggia Affollata Come un Inferno: Il Girone Infernale del Gange Occidentale
- Max RAMPONI
- 24 ago 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 25 set 2024

Oggi la spiaggia, un tempo rifugio di pace e tranquillità, sembrava aver subìto una mutazione raccapricciante. Una trasformazione che l’aveva resa simile al Gange, non il fiume sacro, ma piuttosto una versione occidentale degradata e infernale. Una spiaggia affollata come un inferno, un vero e proprio girone dantesco, dove l’unico scopo era sopravvivere alla fiumana di esseri umani che si riversava senza tregua sulla sabbia rovente e nel mare, reso caldo non dal sole, ma dalla mescolanza di urinate e sudore.
Appena arrivato, il primo colpo al cuore è stato il panorama apocalittico di tende di fortuna, improvvisate davanti al bagnasciuga, quasi una cittadella di disperati in cerca di un metro quadro di sabbia. Montate in fretta e furia, con teloni di plastica e ombrelloni decrepiti, queste strutture precarie non offrivano riparo dal sole, ma solo un ripugnante accozzaglia di colori sbiaditi, strappati e macchiati dal tempo.
E poi, come un’ondata che ti travolge senza scampo, la marea umana. Donne obese avvolte nei loro burkini, quasi fossero sarcofagi ambulanti, con teste coperte da orribili cappelli di paglia – o peggio, di finta paglia – che sembravano usciti direttamente da un incubo. Ogni volto un quadro di sovrabbondanza, di strati di trucco colato sotto il sole implacabile, occhi pesanti che scrutavano il mondo con aria afflitta e annoiata, come se il mare fosse solo un fastidioso dettaglio.
Gli uomini non erano da meno. Di tutte le età, ognuno a suo modo un contributo a questo spettacolo infernale. Alcuni immersi a metà nell’acqua torbida, chiacchieravano senza sosta, i loro corpi flaccidi e sudati a galleggiare nell’acqua che oramai era diventata un brodo caldo e nauseante. Altri si aggiravano sulla spiaggia, con lo sguardo perso, alla ricerca di chissà quale svago in mezzo a quella bolgia.

Il frastuono era assordante, un rumore continuo e caotico che perforava i timpani. Mamme urlanti che cercavano di dominare i bambini maleducati, i quali, a loro volta, strillavano con voci stridule e incessanti, quasi a voler gareggiare per chi riusciva a farsi sentire di più. Ragazzine che si contorcevano sulla sabbia in pose ridicole, mostravano sorrisi finti per selfie patetici, pronte a ingannare i loro follower con un campionario di atteggiamenti studiati per sembrare dive di Hollywood, ma che finivano solo per accentuare la tristezza di quella scena.
E poi, come non notare i bulli da spiaggia, quelli che si aggirano come predatori, pronti a marcare il territorio con sguardi truci e atteggiamenti da machi. Gli stessi che, con aria di sfida, si piazzavano ovunque volessero, incuranti delle famiglie che cercavano disperatamente un po’ di spazio. Ogni gesto, ogni parola, un’ulteriore prova che l’inferno esiste e si era incarnato in quella spiaggia affollata come un inferno.
L’acqua, una volta rinfrescante, era ormai calda come una pozza d’agonia, grazie alle innumerevoli urinate di chi aveva deciso di evitare il disagio di cercare un bagno. Il mare non era più mare, ma una trappola liquida, dove galleggiava ogni tipo di sporcizia. Schiamazzi, risate sguaiate, urla, tutto si mescolava in un’orribile sinfonia di disordine, che sembrava non avere mai fine.
Ogni metro quadrato era occupato, ogni centimetro di sabbia ricoperto da corpi grondanti, avvolti in asciugamani troppo piccoli per contenere la mole, o che lasciavano scoperti lembi di pelle arrossata e sudata. Non c’era scampo, non c’era tregua. L’aria stessa era pesante, carica di un’afosa miscela di odori: crema solare rancida, sudore vecchio, cibo fritto e marcio. Ogni respiro un colpo al petto, ogni sguardo un ulteriore conferma che, quella spiaggia, quel giorno, era diventata l’incarnazione dell’inferno sulla terra.
La sensazione di soffocamento era totale, un incubo a occhi aperti che ti avvolgeva come un cappio stretto attorno al collo. Non c’era un solo momento di pace, non un solo angolo dove rifugiarsi. La sabbia scottava sotto i piedi, ma non c’era possibilità di trovare ristoro nell’acqua contaminata, né di sfuggire al caos dilagante.
In quel giorno, la spiaggia affollata come un inferno non era un luogo di svago o di riposo. Era un girone infernale, dove il solo pensiero di dover resistere tra quella folla diventava insopportabile. Un’esperienza che lasciava solo un desiderio: fuggire il più lontano possibile, lontano da quella fiumana di gente, da quel calderone di urla, sudore e squallore. Lontano da quella spiaggia che, almeno per oggi, si era trasformata nel Gange del nostro peggior incubo.
© Max Ramponi 2024 - Riproduzione Riservata
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