Privacy Policy Cookie Policy
top of page

Paninari: Un Tuffo in una Nostalgia Vana e Sfacciata

PANINARI

Fare il blogger è un mestiere che richiede una dose non indifferente di ironia e pazienza, specie quando si è in cerca di spunti e idee da scrivere senza cadere nel già detto. Ogni giorno mi siedo di fronte allo schermo, scorro il feed di Facebook e cerco un appiglio che mi ispiri. Ma tra gli imprevisti della vita da blogger e i continui "suggerimenti" di Meta (che non smette di propinarmi contenuti da chiunque, grazie alla “geniale” scelta di spingere gli abbonamenti a chi vuole scorrere il proprio feed senza dover passare prima da pagine inutili), a volte per trovare qualcosa di interessante bisogna avere il doppio della resistenza. Tuttavia, in questa navigazione ad ostacoli, mi è saltato all'occhio qualcosa che mi ha colpito. Mi sono imbattuto in un gruppo Facebook di nostalgici paninari. Ho cliccato, forse mosso da un pizzico di masochismo, ed è stato un viaggio a ritroso, direttamente negli anni ‘80, un salto in quel mondo di piumini Moncler, Timberland e Ray-Ban che, onestamente, ho sempre trovato ridicolo. E ancora oggi, vedere questi ex-ragazzi con anni sulle spalle che continuano a celebrarsi, mi fa un certo effetto. Anzi, se devo dirla tutta: non li sopportavo allora, e non li sopporto nemmeno adesso.


Ricordo benissimo quell’epoca, quando i paninari erano una presenza quasi mitologica a Milano, e un po’ in tutta Italia. Erano molto più di un gruppo di giovani alla moda: erano un fenomeno culturale che sembrava inghiottire tutto e tutti, un’élite che faceva dell’apparire la propria missione. Sì, perché a guardare bene, ciò che contava davvero per i paninari non era chi fossero, ma come apparivano. Per loro il mondo era un grande palco, e loro gli unici attori che contavano. Ogni dettaglio era studiato: dalle giacche Moncler ai jeans Levi’s, dagli scarponi Timberland alle cartelle Naj-Oleari. Era un look scolpito nel cemento del consumismo, in cui ogni capo firmato gridava appartenenza e status. Non importava nulla del contenuto: contava solo l’involucro.

PANINARI

E non era solo l’apparenza a infastidirmi, ma l’atteggiamento. I paninari non si limitavano a vestirsi in un certo modo, no. Loro incarnavano una mentalità, quella di chi guarda dall’alto in basso, di chi si crede parte di una casta superiore per il semplice fatto di sfoggiare abiti costosi. E non dimentichiamo il loro linguaggio, un vocabolario grottesco fatto di espressioni come “sfitinzia” e “tamarro.” Parole che li rendevano quasi dei piccoli dittatori della moda, convinti di avere un diritto divino a dettare chi fosse “in” e chi “out.” E se non facevi parte del loro giro? Pazienza. Anzi, meglio così, almeno evitavi di dover sopportare quel misto di arroganza e superficialità che sembrava guidarli in ogni cosa.


E ora, eccoli qua, a distanza di decenni, ancora a celebrare se stessi. Come se quegli anni non fossero mai passati, come se il mondo non fosse andato avanti. Scorrendo le foto e i post di questo gruppo Facebook di nostalgici paninari, mi sono reso conto di quanto il loro culto dell’apparenza sia rimasto immutato. È come se fossero rimasti intrappolati in una capsula del tempo, ancora convinti che basti un Moncler e un paio di Timberland per sentirsi superiori al resto del mondo. Ma, francamente, la cosa più impressionante è quanto questa devozione all’apparenza appaia oggi patetica. Forse, in quegli anni, poteva ancora avere un senso, ma ora? Ora, vederli ancora legati a quei simboli di vanità e consumismo, mi fa quasi sorridere, e non certo di simpatia.


Eppure, c’è da dire che i paninari rappresentavano davvero una sottocultura, un movimento giovanile che, per quanto superficiale, riuscì a imporsi in tutta Italia. Erano ovunque, con il loro stile uniforme e il loro atteggiamento elitario. Persino i media dell’epoca ne furono affascinati: riviste, fumetti, film e canzoni raccontavano i paninari come un simbolo di un’Italia che aveva abbracciato il consumismo senza remore. Persino i Pet Shop Boys, con il loro brano “Paninaro,” ne fecero un’icona musicale. Ma era davvero un mondo da celebrare? In fondo, a guardare oggi i loro ritratti di gioventù, non si può fare a meno di notare quanto poco ci fosse dietro quella facciata: l’inconsistenza di una moda che si basava sull’ostentazione, sull’appartenenza a un gruppo di “eletti” che non aveva altro scopo se non quello di apparire.


E forse è proprio questo che mi ha sempre infastidito: l’essenza vuota, la superficialità ostentata senza remore. Certo, seguire la moda è comprensibile, ci mancherebbe, ma farne una ragione di vita? No, questo non l’ho mai capito. Ho sempre pensato che vestirsi bene fosse una questione di stile, non di etichette. E invece, per i paninari, era esattamente il contrario. Se non avevi il giusto piumino, il giusto paio di jeans o le scarpe giuste, eri fuori. Punto e basta. Non c’era spazio per le sfumature o per le differenze.


Ora, vedere questi cinquanta-sessantenni che ancora si abbracciano nei ricordi di quella gioventù dorata, quasi come se fosse l’unico aspetto rilevante delle loro vite, mi fa un certo effetto. Forse sono nostalgici, forse credono davvero che quegli anni siano stati il meglio della loro esistenza. Ma per me, quella nostalgia ha un retrogusto di vanità, di un culto dell’apparenza che, ancora oggi, mi sembra privo di senso. È come se fossero rimasti aggrappati a un simbolo che, in realtà, non rappresentava nulla di più di un vuoto ruggito di consumismo.


Non tutti hanno amato i paninari, e io sono tra questi. Vedere oggi questa nostalgia ostentata per un’epoca di frivolezza sfacciata, in cui l’apparenza era tutto, non mi commuove affatto. Tutt’al più, mi conferma quanto poco ci fosse dietro quei Moncler e quelle Timberland: solo la patina superficiale di un’epoca in cui l’importante non era esserci, ma sembrare.

 

© Max Ramponi, 2024 | Tutti i diritti riservati.

 

Commentaires

Noté 0 étoile sur 5.
Pas encore de note

Ajouter une note

Questo sito non è una testata giornalistica, non ha carattere periodico e non può essere considerato un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. Eventuali foto non realizzate dall’autore sono state reperite online, facendo sempre attenzione a utilizzare immagini con licenza Creative Commons, e la fonte è stata citata come da prassi. L’autore non è responsabile dei commenti dei lettori, inclusi quelli anonimi. Verranno eliminati i commenti offensivi, razzisti, spam o lesivi dell'immagine di terzi. Si precisa che i contenuti dei link esterni possono variare nel tempo.

Salvo indicazioni contrarie, i contenuti di questo blog sono distribuiti sotto la licenza Creative Commons BY-NC-SA 4.0.

Questo sito web è stato creato con Wix.com  |  © 2024 MaxRamponi.it (Tutti i diritti riservati)

bottom of page