Licenziamento tramite PEC: l'algido requiem delle risorse umane
- Max RAMPONI
- 8 ott 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 9 ott 2024

Ho letto un articolo sul Corriere di Bologna che racconta una storia che suona come una sinfonia gelida: 77 lavoratori della Regal Rexnord, spediti nel limbo della disoccupazione con una mail. Sì, avete capito bene: un semplice licenziamento tramite PEC. Un pezzo di carta virtuale, un telegramma funebre senza lacrime, senza sudore, senza la minima traccia di quella cosa ormai divenuta mitologica, quasi leggendaria... l'umanità.
Immaginate la scena: una stanza buia, computer accesi, l’amministratore delegato in camicia bianca che preme invio. Nessun rumore, solo il sibilo metallico della stampante che vomita fogli con numeri e grafici, e la notifica di una PEC inviata che risuona come una campana a morto. “Hai un nuovo messaggio”. No, non è la notifica della tua pizzeria preferita, né un messaggio d'amore. È il tuo futuro che si dissolve in un byte, la fredda sentenza di un licenziamento tramite PEC.
Ma del resto, cosa ci aspettavamo? Viviamo nell'epoca della PEC e dell'efficienza a costo zero, dove il concetto di "risorse umane" si è trasformato in un’elegante forma di necrologio digitale. Perché perdere tempo a guardare qualcuno negli occhi quando puoi sbrigare un licenziamento con un click? Tempo è denaro, amici miei, e a quanto pare anche la dignità lo è. Siamo passati dall'ufficio del personale alle email di licenziamento con l’agilità di un becchino che chiude la bara con un ultimo colpo di martello.
Le 77 email di licenziamento tramite PEC sono partite, silenziose, nell'etere. Destinazione: il nulla. E le vite di altrettanti lavoratori si sono tramutate in una fredda lista Excel, un elenco di nomi cancellati come fossero righe di un bilancio aziendale. Ma c’è qualcosa di ancor più triste di questa brutalità burocratica: la mancanza di vergogna. Perché quando arrivi a dare il benservito con una mail, hai già seppellito l’empatia sotto una coltre di management spietato.
Chissà, magari il capo di turno si è persino sentito soddisfatto, guardando lo schermo e ammirando la sua efficienza glaciale. Come un vampiro aziendale che si nutre del sangue delle risorse, senza mai lasciare una traccia di calore umano. Ma si sa, ormai le emozioni costano, i discorsi sono fuori budget, e i volti sono solo avatar da scorrere su LinkedIn.
Quello che resta, dopo questa orgia di efficienza senza anima, è una sensazione di vuoto che nemmeno l'eco di un ufficio vuoto riesce a riempire.
Ma sapete qual è la verità? Che a questi nuovi faraoni dell’economia non importa nulla. Il loro tempio è fatto di bilanci, e le loro piramidi le costruiscono sulle spalle dei lavoratori, trattati come mattoni che si possono sostituire. Non c'è spazio per la compassione, non c'è spazio per la dignità, solo per la fame di profitto. Questo sistema è una macchina macina-anime, una fabbrica di indifferenza che trasforma il sudore della gente in dividendi, e i sogni in polvere.
E mentre loro brindano alla delocalizzazione, celebrando il risparmio ottenuto con il licenziamento tramite PEC, noi restiamo qui, con le mani vuote e gli occhi pieni di domande. Ma una cosa è certa: non basterà una PEC a cancellare il rancore, la rabbia, la frustrazione di chi è stato trattato come un numero, come un file da archiviare. Il profitto ad ogni costo è un gioco sporco, e alla fine i conti tornano sempre. Ma un giorno, quando l’ultimo uomo avrà inviato l’ultima mail di licenziamento, cosa resterà di questo sistema? Solo una landa desolata di schermi spenti e ambizioni mortificate.
Forse allora si accorgeranno di cosa hanno distrutto: un mondo fatto di persone, non di margini di guadagno. Ma sarà troppo tardi, perché la PEC della loro stessa decadenza sarà già stata spedita.
© Max Ramponi, 2024 | Tutti i diritti riservati.
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