La Notte del 17 Luglio 1994: Un Incubo Sotto le Stelle
- Max RAMPONI
- 23 ago 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 25 set 2024
Quella notte del 17 luglio 1994 non è un semplice ricordo. È un incubo che torna a trovarmi nei sogni, un'ombra oscura che si insinua nei pensieri più reconditi, portando con sé un terrore che ancora oggi mi fa rabbrividire. Appena arrivato alla caserma CAR di Falconara, al mio quinto giorno da najaone, non potevo immaginare l’inferno che stava per scatenarsi. La finale dei Mondiali tra Italia e Brasile non era solo una partita. Era una lotta per la sopravvivenza in un mondo che quella notte sembrava impazzito.
Il caldo era asfissiante, il tipo di caldo che ti avvolge come una coperta infernale, che ti fa sudare anche l’anima. La sala cinema della caserma era un girone dantesco, soffocante, senza aria condizionata. Le pareti sembravano chiudersi su di noi, trattenendo ogni goccia di sudore, ogni respiro pesante, ogni sussurro di disperazione. L'aria puzzava di umidità stantia, di corpi accaldati, di un’ansia che si tagliava a fette.
Eravamo lì, noi commilitoni, accalcati in quel teatro di orrore, con gli occhi fissi sullo schermo, come condannati in attesa del verdetto finale. La speranza e la tensione erano palpabili, ma sotto la superficie si agitava qualcosa di più oscuro. Ogni secondo della partita si trascinava lento, pesante, come un colpo di martello che affonda un chiodo nella bara. Ogni azione, ogni passaggio, era accompagnato da un sussulto, come se un filo invisibile ci stringesse il cuore, sempre più forte.
Quando i 90 minuti finirono e l’arbitro mandò le squadre ai supplementari, il silenzio nella sala divenne una presenza tangibile, un mostro pronto a divorare qualsiasi traccia di speranza rimasta. Il tempo sembrava essersi fermato, e con esso anche il battito del nostro cuore. Poi, come un boia che si avvicina lentamente, arrivarono i calci di rigore. Sapevamo tutti che quel momento avrebbe deciso tutto. E non era solo una partita: era una questione di vita o di morte.
I primi rigori furono come fendenti nella carne. Quando Baresi e Massaro sbagliarono, sentimmo un brivido correre lungo la schiena, un presagio di morte imminente. Tutta la nostra speranza si aggrappò disperatamente a Roberto Baggio, come se la sua gamba fosse l’unico filo che ci teneva in vita. E poi, quel calcio… Quella maledetta esecuzione che ci strappò via ogni respiro, lasciandoci sprofondare nell’abisso. Il pallone volò sopra la traversa, come un proiettile lanciato dritto al cuore. Il Brasile vinse, e noi restammo lì, paralizzati, con il terrore che ci attanagliava.

Le luci si spensero, lasciandoci immersi in un buio opprimente. Ma il vero orrore iniziò solo allora. I caporali istruttori, come demoni scatenati dall’inferno, si lanciarono su di noi con una furia inaudita. Urlavano, ci insultavano, quasi volessero strapparci l’anima a morsi. I loro volti contorti dalla rabbia, le vene gonfie sui colli, gli occhi iniettati di sangue… Erano più mostri che uomini. Ci fecero uscire dalla sala come un branco di animali, facendoci marciare verso i dormitori sotto un cielo nero, senza stelle, che sembrava minacciare di crollarci addosso.
Ogni passo era un eco sinistro, un rintocco che segnava il nostro destino. Le urla dei caporali rimbombavano nella notte, come lamenti di anime dannate. Non c’era via di fuga, non c’era sollievo. Anche durante il contrappello, la tortura continuava. Le loro grida ci trafiggevano, ci squarciavano, come coltelli affilati. Eravamo colpevoli di una sconfitta che non avevamo potuto evitare, e ci stavano punendo per questo, senza pietà.
Quando finalmente ci fecero entrare nei dormitori, le luci si spensero, lasciandoci in un silenzio innaturale, carico di rabbia e disperazione. Il buio era totale, soffocante, come un sudario che avvolge i morti. Nessuno parlava, nessuno osava nemmeno respirare. Il sonno non era un rifugio, ma un’altra trappola. Quella notte non finì mai, e il ricordo di quell’incubo rimane ancorato nella mia mente, un macabro monito di una notte che non dimenticherò mai. Un ricordo crudo, sanguinante, di una sconfitta che ci ha lasciato cicatrici profonde. Una notte di paura, di tensione, di rabbia cieca. Un incubo vivente, dal quale non c’è via di fuga.
© Max Ramponi 2024 - Riproduzione Riservata
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