Il fallimento delle sanzioni UE: la Russia cresce, gli europei pagano
- Max RAMPONI
- 26 feb
- Tempo di lettura: 5 min

L’Unione Europea ci riprova. Dopo sedici pacchetti di sanzioni che, almeno sulla carta, avrebbero dovuto mettere in ginocchio l’economia russa, Bruxelles è pronta a lanciare il diciassettesimo treno di misure punitive. La narrativa ufficiale è sempre la stessa: soffocare la capacità di Mosca di finanziare la sua guerra contro l’Ucraina, tagliando le entrate dal commercio internazionale e limitando l’accesso alle tecnologie occidentali. Ma dopo tre anni di questa strategia, la domanda scomoda che nessuno osa fare è una sola: tutto questo ha davvero funzionato? Perché se l’obiettivo era mandare la Russia in bancarotta, allora possiamo tranquillamente dire che il piano è fallito miseramente. Il PIL russo è cresciuto del 3% nel 2024, la disoccupazione è ai minimi storici e il paese continua a vendere petrolio e gas, semplicemente con qualche scappatoia in più. L’Occidente ha colpito duro, ma il gigante euroasiatico sembra essersi rafforzato invece di crollare. E mentre Mosca continua a incassare, chi ha veramente pagato il prezzo di questa crociata economica sono stati i cittadini europei, alle prese con bollette impazzite, inflazione fuori controllo e recessione strisciante.
Per capire il paradosso delle sanzioni occidentali basta dare un’occhiata ai numeri. Dal 2022, l’Unione Europea ha imposto restrizioni su centinaia di prodotti e tecnologie esportabili in Russia, ha bloccato transazioni finanziarie, congelato asset e limitato la circolazione delle imprese russe sui mercati internazionali. Gli Stati Uniti hanno fatto lo stesso, e il G7 ha aggiunto il famoso price cap sul petrolio russo, imponendo un tetto massimo di 60 dollari al barile per le esportazioni. In teoria, questo avrebbe dovuto strangolare Mosca e ridurre il suo potenziale bellico. In pratica, è successo l’esatto contrario. La Russia ha semplicemente trovato nuovi partner commerciali, ha riorientato il suo export verso Cina, India, Turchia e altri paesi emergenti, ha ristrutturato la sua economia puntando sulla produzione interna e ha aggirato il price cap vendendo il suo petrolio attraverso triangolazioni con paesi terzi. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, l’economia russa è cresciuta più di quella tedesca nel 2023 e 2024, e mentre Berlino fatica a riprendersi, Mosca registra incrementi nei salari reali e nei consumi interni. A rendere il tutto ancora più beffardo c’è il fatto che, nonostante le restrizioni, l’Europa continua comunque a comprare gas russo. Solo che ora lo paga di più e attraverso intermediari. Il mercato nero del GNL (gas naturale liquefatto) è fiorito, con forniture russe che arrivano nei porti europei tramite società fittizie e triangolazioni con paesi come il Kazakistan o gli Emirati Arabi Uniti. L’embargo c’è, ma è un colabrodo.
Dall’altra parte del fronte, i contribuenti europei non hanno avuto la stessa fortuna. La dipendenza dal gas russo è stata sostituita con importazioni più costose dagli Stati Uniti e dal Medio Oriente, facendo schizzare in alto le bollette. L’inflazione ha colpito duramente tutti i settori, con un effetto domino che ha eroso i risparmi delle famiglie e aumentato il costo della vita. Le industrie europee, già provate dalla pandemia, si sono ritrovate con materie prime più care e difficoltà logistiche crescenti, mentre le economie più fragili del blocco hanno subito il colpo con aumenti della disoccupazione e rallentamento della crescita. Se in Russia i salari reali sono aumentati del 14% nel 2024, in Europa gli stipendi non sono riusciti a tenere il passo con l’inflazione, con milioni di persone che hanno visto il loro potere d’acquisto crollare. E la beffa suprema è che molte aziende europee hanno trovato il modo di continuare a fare affari con la Russia, semplicemente spostando le loro operazioni in paesi non sanzionati.
Eppure, nonostante l’evidente inefficacia delle sanzioni nel danneggiare la Russia e l’impatto disastroso sull’economia europea, l’Unione Europea insiste nel rincarare la dose. Il diciassettesimo pacchetto in arrivo prevede nuove restrizioni sull’alluminio russo, sanzioni su un altro gruppo di aziende e il blocco di decine di petroliere accusate di trasportare petrolio russo eludendo le misure punitive. Esattamente la stessa ricetta che ha già fallito sedici volte. Ma perché continuare con una strategia così chiaramente inefficace? La risposta sta nella politica. Bruxelles non può permettersi di ammettere che le sanzioni non stanno funzionando, perché questo equivarrebbe a riconoscere che l’intero approccio occidentale alla guerra in Ucraina è stato un disastro. Quindi, avanti con altri giri di vite, più propaganda sulla “lotta per la libertà” e nuove promesse di successi imminenti, mentre la realtà continua a smentire i proclami.
L’ironia della situazione è che, mentre l’Europa si accanisce con sanzioni inefficaci, altre grandi potenze stanno facendo affari d’oro con la Russia. La Cina, che ufficialmente non prende posizione nel conflitto, ha aumentato il commercio con Mosca a livelli record, acquistando gas, petrolio e materie prime a prezzi scontati e vendendo tecnologia, elettronica e componenti industriali che servono alla Russia per aggirare le restrizioni occidentali. L’India, dal canto suo, ha moltiplicato le importazioni di petrolio russo, raffinando il greggio e rivendendolo poi all’Europa con un bel margine di profitto. Così, mentre gli europei si impoveriscono a causa delle loro stesse sanzioni, altri paesi si arricchiscono sfruttando la situazione.
Tre anni di sanzioni avrebbero dovuto dimostrare che colpire un’economia grande e resiliente come quella russa richiede qualcosa di più di un elenco di divieti e restrizioni che possono essere facilmente aggirati. Ma i burocrati di Bruxelles sembrano più interessati a salvare la faccia che a trovare soluzioni reali. E così, mentre il diciassettesimo pacchetto viene preparato, gli europei si chiedono se qualcuno, da quelle parti, si sia reso conto del disastro economico che sta colpendo proprio chi le sanzioni le ha imposte. Se il piano era punire la Russia, il vero risultato è stato colpire i cittadini dell’Unione Europea. Ma su questo, statene certi, nessuno a Bruxelles terrà una conferenza stampa.
Se c’è qualcosa che emerge chiaramente da questa grottesca pantomima delle sanzioni, è l’incompetenza patologica della classe dirigente di Bruxelles. Una sequenza di decisioni miopi, guidate più da esigenze di propaganda che da una reale strategia economica, ha messo in ginocchio le economie europee senza intaccare minimamente la solidità russa. Tre anni di misure punitive, di conferenze stampa trionfalistiche e di slogan sulla necessità di "dare una lezione a Putin" hanno prodotto un solo vero risultato: l’Europa è più povera, più debole e più dipendente dagli Stati Uniti e dai mercati asiatici di quanto non fosse prima dell’inizio della guerra in Ucraina.
Quello che a Bruxelles manca completamente è una visione strategica. Se la guerra si risolve nel lungo periodo e l’obiettivo è realmente quello di mettere la Russia in difficoltà, allora come si spiega il fatto che gli europei abbiano rinunciato al loro principale fornitore di energia senza una vera alternativa sostenibile? Come si giustifica il fatto che le sanzioni colpiscano più l’industria europea che quella russa? L’unica spiegazione plausibile è che questa élite burocratica, fatta di funzionari non eletti e di politici mediocri, sia totalmente scollegata dalla realtà.
La verità è che questa classe dirigente non sta difendendo gli interessi dei cittadini europei. Sta difendendo solo se stessa. Non ammetterà mai di aver fallito perché ciò significherebbe perdere la propria legittimità. Così si andrà avanti, con il diciassettesimo, il diciottesimo, il ventesimo pacchetto di sanzioni, fino a quando non ci sarà più nessuno a pagare il conto. O forse, fino a quando i cittadini europei non decideranno che è il momento di presentare il loro.
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