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Galleggiare a Pancia in Su: Tra Squali Bianchi e Meteore della Vita

Aggiornamento: 25 set 2024

GALLEGGIARE

L’arte di galleggiare a pancia in su, sospeso tra il cielo e il mare, è spesso celebrata come uno dei grandi piaceri della vita. Ti sdrai sull’acqua, lasciando che le onde ti cullino, mentre il sole bacia la tua pelle e i tuoi pensieri volano liberi come gabbiani in un cielo azzurro. Beh, almeno questa è la teoria. La realtà, però, è ben diversa. Immaginate di essere lì, a pancia in su, cercando di afferrare quel momento di perfetta serenità. Ecco, ora immaginate di essere circondati da una mandria di bagnanti che sembrano usciti da un incubo di cattivo gusto, il tutto condito con una dose eccessiva di maleducazione e rumore.


A pancia in su, mentre cerco di raggiungere la pace interiore, mi rendo conto che tutto questo relax è solo un’illusione. Intorno a me, si consuma uno spettacolo degno del miglior circo: bambini che urlano come se ogni granello di sabbia fosse una tragedia greca, genitori che fanno finta di niente (o forse sono solo sordi), e un’umanità varia e assortita che ha scambiato la spiaggia per una pista da discoteca.


C'è il tizio palestrato che passa il tempo a farsi selfie mentre sfoggia un costume che sembra essere stato rubato a un trapezista di Las Vegas. Ci sono i bambini che, con la grazia di elefanti in una cristalleria, corrono avanti e indietro, urlando e spruzzando acqua a chiunque osi avvicinarsi. E poi, come se tutto questo non fosse abbastanza, c’è quel gruppo di adolescenti armati di casse Bluetooth, che sembrano convinti che tutti vogliano ascoltare la loro playlist di musica trap. Sì, perché l’idea di godersi il suono delle onde è ormai superata: molto meglio soffocare tutto sotto una colonna sonora che è un insulto al buon gusto e al senso comune.


A pancia in su, cerco di non pensare al caos che mi circonda, ma è impossibile ignorare la triste realtà: la spiaggia è diventata un campo di battaglia, e io sono in trincea senza alcuna difesa. C’è il genitore che, invece di educare il figlio a rispettare lo spazio altrui, lo incita a essere sempre più molesto. "Dai, corri, spruzza l’acqua!" sembra dire con ogni gesto, come se fosse una gara a chi riesce a rompere più scatole al prossimo. E intanto, io sono qui, a pancia in su, a chiedermi perché non mi sia ancora venuta l’idea di comprare un gommone e andare al largo, lontano da tutto questo.


Mentre le onde mi cullano con quella dolcezza che, ormai, è l’unico aspetto positivo della mia giornata, la mia mente vaga. Mi chiedo se questa umanità che mi circonda abbia mai avuto un briciolo di educazione. Ricordo i tempi in cui andare al mare significava relax, un libro da leggere e il suono delle onde come unica colonna sonora. Ora, sembra che ogni persona abbia preso il peggio della cultura pop, lo abbia mescolato con una buona dose di egocentrismo, e lo abbia portato qui, in spiaggia, per condividerlo generosamente con tutti.


A pancia in su, la mia pazienza si sta esaurendo, e inizio a coltivare fantasie che vanno ben oltre il semplice allontanarsi da questo circo marino. Se solo ci fosse uno squalo bianco nelle vicinanze, penso con un sorrisetto malizioso. Non sto parlando di un massacro, sia chiaro, ma di una piccola dimostrazione di forza naturale. Un bel squaletto che, con la sua eleganza letale, si materializza dalle profondità e mette in chiaro chi comanda davvero qui. Immaginate la scena: un po' di panico, qualche strillo (finalmente motivato) e poi, finalmente, il silenzio. Il mare tornerebbe ad essere quel luogo sacro di pace e tranquillità che dovrebbe essere.


Ma, ahimè, gli squali sono probabilmente troppo impegnati in faccende più serie per occuparsi di questi sciagurati bagnanti. E quindi, la mia mente vaga ancora, cercando altre soluzioni. Un meteorite, sì, questa potrebbe essere la risposta. Un bel meteorite che, con una precisione chirurgica, piomba dal cielo e si schianta proprio su quel gruppo di adolescenti con le casse Bluetooth. Un lampo, un'esplosione, e poi... finalmente, il silenzio. Niente più musica di cattivo gusto, niente più selfie da catalogo di bodybuilding, solo il suono delle onde e il sole che splende. Sarebbe quasi poetico, un atto di giustizia cosmica che ripristina l'ordine naturale delle cose.


E poi ci sono loro, i bambini. Ah, i bambini. Piccoli esseri che, in altre circostanze, potrebbero sembrare adorabili, ma qui, in spiaggia, si trasformano in veri e propri mostri. A pancia in su, sento il loro strillare come un trapano che penetra nel cervello. Corrono avanti e indietro, come se ogni metro quadrato di spiaggia fosse un territorio da conquistare. E non si limitano a giocare, no, devono per forza spruzzare, urlare, gettarsi addosso sabbia come se fossero in un campo di battaglia. E i genitori? Beh, i genitori sembrano convinti che tutto questo sia perfettamente normale, anzi, incoraggiano il caos con un sorriso complice.


Mi chiedo, a pancia in su, se non esista una sorta di regola non scritta per cui i bambini dovrebbero comportarsi in modo civile quando sono in pubblico. Ma poi mi rendo conto che, probabilmente, queste regole non esistono più. La spiaggia è diventata un luogo dove tutto è permesso, dove il rispetto per gli altri è un concetto antiquato, e dove l’unica legge è quella del più rumoroso. Ed ecco che mi ritrovo a sognare ancora lo squalo bianco, questa volta non solo come un semplice esecutore di giustizia, ma come un educatore naturale, che mostra ai più piccoli che la natura non è un parco giochi, ma un luogo da rispettare.


Come se il rumore e la maleducazione non fossero abbastanza, c’è poi il capitolo della moda da spiaggia. A pancia in su, sono costretto a osservare tutto ciò che mi circonda, e devo dire che il panorama non è dei migliori. La spiaggia, un tempo regno di costumi eleganti e sobri, si è trasformata in una passerella del cattivo gusto. Non c’è più limite a ciò che si può indossare, o meglio, a ciò che non si dovrebbe mai indossare in pubblico.


C’è chi sfoggia costumi talmente piccoli da sembrare un atto di coraggio più che una scelta di stile. Ma il vero orrore sono quelli che decidono di abbinare il costume a ogni sorta di accessorio inutile: cappelli giganti, occhiali da sole che coprono metà del viso, braccialetti, collane, e chi più ne ha più ne metta. E poi ci sono i tatuaggi, che sembrano essere diventati un obbligo. A pancia in su, mi chiedo se ci sia una gara a chi ha il tatuaggio più grande e più ridicolo. Draghi, tribali, frasi motivazionali in lingue che nemmeno capiscono... tutto fa brodo in questa zuppa di cattivo gusto.


E non dimentichiamoci delle scarpe da spiaggia. Quelle orribili infradito di gomma che emettono un suono fastidioso ogni volta che toccano il suolo, come un costante richiamo al fatto che il buon gusto è morto e sepolto. Eppure, a pancia in su, non posso fare a meno di osservare questa sfilata di orrori, chiedendomi se esista un limite a ciò che le persone possono sopportare. Ma, a quanto pare, no. La spiaggia è il luogo dove il cattivo gusto trionfa, dove ognuno può esprimere il peggio di sé, e dove il concetto di stile è stato sostituito da un’anarchia visiva.


E mentre sono lì, a pancia in su, immerso nei miei pensieri, cercando di ignorare il caos che mi circonda, accade l’imprevisto. Sento una strana sensazione di calore nelle parti basse. All'inizio penso che sia il sole che,


finalmente, ha deciso di fare il suo dovere fino in fondo. Ma poi mi rendo conto che non è proprio così. Nel mio stato di profonda concentrazione sulle fantasie apocalittiche di squali e meteoriti, ho completamente perso il controllo della situazione lì sotto. Sì, proprio così: mi sono lasciato andare. Ma poi, mi rilasso. Dopotutto, chi se ne accorgerebbe? In acqua, ogni traccia di imbarazzo si dissolve, letteralmente e metaforicamente.


A pancia in su, galleggiando tra le onde e i miei pensieri, mi rendo conto di una cosa fondamentale: tutto sommato, sono ancora io il padrone del mio destino. Squali bianchi, meteoriti, bambini urlanti, e moda da spiaggia possono anche cercare di rovinarmi la giornata, ma alla fine, sono io che decido come reagire. E se questo significa lasciarmi andare, in tutti i sensi, allora che sia così. Galleggio a pancia in su, con la consapevolezza che, nonostante tutto, il mare è ancora il mio rifugio, il mio piccolo angolo di libertà. E se questo significa ignorare l’intero circo umano che mi circonda, tanto meglio. Perché alla fine, la cosa più importante è questa: essere capaci di galleggiare sopra tutto, anche sopra le miserie umane.

 

© Max Ramponi 2024 - Riproduzione Riservata

 

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